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Chayton, un vecchio sioux, si prepara al viaggio. |
La sera entrava nell’accampamento; le ombre dei tipì si erano allungate, solite a stendersi per prime sulla terra in attesa di entrare nel sonno di una nuova notte. Wakan Tanka, il Grande Spirito, gli aveva parlato qualche giorno prima e Chayton, il falco, si stava preparando nella sua tenda. La vecchia Ayana aveva preparato al compagno gli indumenti e le collane cerimoniali. Sapeva, dal suo strano silenzio di quei giorni, da quel tacere insolito, quale fosse il viaggio. Chayton vide le sue mani rugose, come fossero estranee, infilare al collo la collana di denti di sciacallo. Ogni suo movimento, compiuto fino a quel momento, gli era apparso assente da una coscienza. Intinse due dita nella terra rossa della ciotola e si segnò le guance. Barcollò un poco chinandosi e uscì il suo corpo esile e rinsecchito dalla tenda. I cacciatori, su un lato dell’accampamento, avevano finito di macellare il cervo e lo stavano portando verso lo spiazzo al centro, dove le donne, tra il chiasso festoso dei bambini, avevano acceso il fuoco. I tamburi iniziarono a battere in un ritmo cadenzato e accentato da colpi più forti. Prima di imboccare il sentiero tra le due querce, Chayton si volse un istante: l’odore del fumo di legna, il bagliore delle fiamme, la sua tribù, il mondo dove aveva vissuto lo salutava. Un tacito saluto, che sapeva non essere indifferenza, poiché tutti erano a conoscenza della sua partenza: era il più grande rispetto che la tribù offriva per quei viaggi. Per lui l’onore di portare la dignità del suo momento di intima solitudine. Quando raggiunse l’ Akichita, il luogo sacro dei morti, era già buio. Tra gli alberi qualche raggio lunare rischiarava le barelle alzate, fissate ai tronchi, dove erano distese le mummie. Sedette stanco su una roccia e guardò la volta celeste limpida con le sue stelle luccicanti. Stava per iniziare l’intonazione del Wanagi Yuhapi, la nenia della tradizione rivolta al Grande Spirito, quando alle sue spalle sentì un rumore, come di un ramo spezzato. “Padre” udì nel silenzio. Guardò i grandi alberi che gettavano le loro punte verso il cielo della notte a indicare ognuna il suo astro. “Padre” ripeté la voce. Nigan si sedette al fianco del vecchio. Il suo petto nudo e muscoloso apparve nel chiarore, il suo viso largo dalle mascelle prominenti, i suoi neri occhi a forma di mandorla, i suoi capelli corvini raccolti in una treccia che dondolava sul torace e le due piume colorate ritte sulla testa si formarono accanto a lui nella sua presenza. “Nigan, questa non è usanza dei Sioux” disse in tono di ammonimento. “Padre, tu dici il vero; io sono qui per il mio popolo”. Chayton tacque. Nigan cercò le parole in un breve silenzio interrotto dal fragore improvviso delle ali di un uccello che si librò dalla vetta di un albero. S’allontanò nel cielo stagliando la sua ombra sul chiarore del disco lunare. Allora Nigan continuò: “Noi sappiamo che chi sta per varcare la soglia di questo mondo ha la facoltà di predire il futuro, ti chiedo perciò: che ne sarà del nostro popolo?” Chayton si voltò e guardò negli occhi il figlio. Attese qualche istante: “Dovrete combattere perché il coraggio è parte dei sioux, ma vincerà l’uomo bianco”. Il volto di Nigan mutò in un’espressione di sgomento e terrore. Il suo busto si eresse e i muscoli possenti diedero uno scatto in tutto il torace. Il vecchio continuò: “L’uomo bianco è più forte di noi perché soffre di una malattia della ragione. Questa è una strana malattia: non lo uccide né lo indebolisce, ma anzi gli dà una grande intelligenza, una capacità d’azione in grado di piegare la natura a suo piacimento. Non sarà solo il nostro popolo a perdere e a essere imprigionato, tra molti anni a venire lo stesso uomo bianco, la sua società crolleranno per sua stessa mano”. Nigan lo guardò confuso, stupito e incredulo. A quale tempo si riferiva? L’uomo bianco morirà o l’intera umanità? Il padre era forse in preda a un delirio? Chayton aggiunse ancora con un filo di voce: “Figlio, è la curiosità, la volontà ossessiva di conoscere, di sapere e di dominare che è dentro questa malattia. Come puoi godere della bellezza del mistero che muove il vento, dell’erba che si piega ad esso, del sole che risplende, della luna che ci fa visita ogni notte, della pioggia che ci disseta, e di tutto ciò che la natura ci regala se vuoi aprire ogni cosa, sezionarla, misurarla, costringerla? Come può l’uomo prendere il posto del Grande Spirito, chi è nato prima?” Nigan gli prese la mano, la sentì ruvida, nodosa e debole. “Padre…” sussurrò, ma il vecchio lo interruppe: “Figlio, ora vattene, ho sonno, voglio dormire”. |